Il Papa apre l'Anno della Fede

11-10-2012

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La “cosa più importante” sia quella di ravvivare in tutta la Chiesa “quell’anelito a riannunciare Cristo all’uomo contemporaneo” appoggiandosi sulla base concreta dei documenti conciliari. Così il Papa che stamani, in coincidenza con il 50.mo dell’inizio del Concilio Vaticano II e il 20.mo della pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica, ha presieduto la Santa Messa per l'apertura dell’Anno della fede. Quattrocento i concelebranti - fra cui 8 patriarchi delle Chiese orientali, 80 cardinali e 15 padri conciliari - che in una suggestiva processione sono saliti sul sagrato della Basilica di fronte ad una Piazza San Pietro affollata da circa 20mila persone. Alla fine della celebrazione eucaristica il Papa ha riconsegnato al Popolo di Dio i 7 Messaggi del Concilio e il Catechismo della Chiesa Cattolica. Il servizio di Debora Donnini:
“Con grande gioia oggi, a 50 anni dall’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II, diamo inizio all’Anno della fede”.

In un’atmosfera solenne e gioiosa Benedetto XVI apre l’Anno della fede. E’ Cristo il centro della fede, sottolinea nell’omelia. Dio è il principale soggetto dell’evangelizzazione del mondo mediante Gesù Cristo che ha voluto trasmettere alla Chiesa la propria missione e continua a farlo infondendo lo Spirito Santo nei discepoli sino alla fine dei tempi. “La Chiesa - ricorda – è lo strumento primo e necessario di questa opera di Cristo”. L’Anno della fede che oggi è stato inaugurato, sottolinea poi, è legato a tutto il cammino della Chiesa negli ultimi 50 anni: "dal Concilio, attraverso il Magistero del Servo di Dio Paolo VI, il quale indisse un «Anno della fede» nel 1967, fino al Grande Giubileo del 2000, con il quale il Beato Giovanni Paolo II ha riproposto all’intera umanità Gesù Cristo quale unico Salvatore, ieri, oggi e sempre”. Il Papa rileva, quindi, la profonda convergenza proprio fra Paolo VI e Giovanni Paolo II nel porre l’accento su Cristo quale centro del cosmo e della storia e sull’ansia apostolica di annunciarlo e ribadisce il senso del Concilio Vaticano II ricordando le parole dello stesso Giovanni XXIII all’inaugurazione dell’assise conciliare da lui convocata: lo scopo principale di questo Concilio non è la discussione di questo o quel tema della dottrina ma far sì che “questa dottrina certa e immutabile, che deve essere fedelmente rispettata, sia approfondita e presentata in modo che risponda alle esigenze del nostro tempo”. E Benedetto XVI ricorda di aver sperimentato lui stesso che durante il Concilio vi era una tensione commovente verso il compito di far risplendere “la bellezza della fede nell’oggi del nostro tempo, senza sacrificarla alle esigenze del presente né tenerla legata al passato”:
“Perciò ritengo che la cosa più importante, specialmente in una ricorrenza significativa come l’attuale, sia ravvivare in tutta la Chiesa quella positiva tensione, quell’anelito a riannunciare Cristo all’uomo contemporaneo”.
Ma – avverte il Papa - affinché questa spinta interiore alla nuova evangelizzazione “non pecchi di confusione, occorre che essa si appoggi ad una base concreta e precisa”, che sono, appunto, i documenti del Concilio Vaticano II. Per questo ricorda di aver insistito sulla necessità di ritornare ai testi: “la vera eredità del Concilio si trova in essi” afferma. Il riferimento a questi “mette al riparo dagli estremi di nostalgie anacronistiche e di corse in avanti, e consente di cogliere la novità nella continuità”. Il Concilio, rileva ancora, “non ha escogitato nulla di nuovo come materia di fede” ma si è preoccupato di fare in modo che la medesima fede continui ad essere “una fede viva in un mondo in cambiamento”:
“I Padri conciliari volevano ripresentare la fede in modo efficace; e se si aprirono con fiducia al dialogo con il mondo moderno è proprio perché erano sicuri della loro fede, della salda roccia su cui poggiavano. Invece, negli anni seguenti, molti hanno accolto senza discernimento la mentalità dominante, mettendo in discussione le basi stesse del depositum fidei, che purtroppo non sentivano più come proprie nella loro verità”.

“Se oggi la Chiesa propone un nuovo Anno della fede e la nuova evangelizzazione – afferma - non è per onorare una ricorrenza, ma perché ce n’è bisogno, ancor più che 50 anni fa!”. E la risposta da dare a questo bisogno è la stessa voluta dai Papi e dai Padri del Concilio e contenuta nei suoi documenti. Anche l’iniziativa di creare un Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione rientra in questa prospettiva. Benedetto XVI evidenzia, poi, che in questi decenni è avanzata una “desertificazione” spirituale, si è diffuso il vuoto, ma è proprio a partire dall’esperienza di deserto che si può riscoprire la gioia di credere:
“E nel deserto c’è bisogno soprattutto di persone di fede che, con la loro stessa vita, indicano la via verso la Terra promessa e così tengono desta la speranza. La fede vissuta apre il cuore alla Grazia di Dio che libera dal pessimismo. Oggi più che mai evangelizzare vuol dire testimoniare una vita nuova, trasformata da Dio, e così indicare la strada”.
La prima Lettura della Messa di oggi parla proprio della sapienza del viaggiatore: il viaggiatore sapiente ha appreso l’arte di vivere e la può condividere con i fratelli, come avviene – ricorda il Pontefice – ai pellegrini lungo il Cammino di Santiago, o sulle altre Vie che “non a caso sono tornate in auge in questi anni”. E forse, si chiede il Papa, tante persone sentono il bisogno di fare questi cammini perché qui trovano il senso del nostro essere mondo:
“Ecco allora come possiamo raffigurare questo Anno della fede: un pellegrinaggio nei deserti del mondo contemporaneo, in cui portare con sé solo ciò che è essenziale: non bastone, né sacca, né pane, né denaro, non due tuniche – come dice il Signore agli Apostoli inviandoli in missione (cfr Lc 9,3), ma il Vangelo e la fede della Chiesa, di cui i documenti del Concilio Ecumenico Vaticano II sono luminosa espressione”.
Come pure lo è il Catechismo della Chiesa Cattolica, pubblicato 20 anni or sono, ricorda ancora Benedetto XVI che conclude chiedendo che la Vergine Maria “brilli sempre come stella sul cammino della nuova evangelizzazione”.
All’inizio dell’omelia il Papa rileva che questa Celebrazione è stata arricchita di alcuni segni specifici come la processione iniziale, che ha richiamato quella dei Padri conciliari nella Basilica; l’intronizzazione dell’Evangeliario, copia di quello utilizzato durante il Concilio, e ancora la consegna dei Messaggi finali del Concilio e del Catechismo della Chiesa Cattolica. Segni, sottolinea, che vogliono far entrare nel movimento spirituale che ha caratterizzato il Vaticano II, per portarlo avanti nel suo vero senso: la fede in Cristo, animata dalla spinta a comunicarlo a tutti gli uomini nel pellegrinare della Chiesa sulle vie della storia.
Ad intervenire anche il Patriarca Ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I che, citando il Decreto conciliare Unitatis Redintegratio, ha affermato: “ci uniamo nella «speranza che venga rimossa la barriera tra la Chiesa d’Oriente e la Chiesa d’Occidente, e che si abbia finalmente una sola dimora solidamente fondata sulla pietra angolare, Cristo Gesù, il quale di entrambe farà una cosa sola» (Unitatis Redintegratio §18). “Diamo inizio a preghiere per la pace e la salute dei nostri fratelli e sorelle cristiani che vivono in Medio Oriente”, afferma poi, auspicando che “il desiderio di armonia che dichiariamo qui” sia “modello per il nostro mondo” e che “possiamo lavorare insieme per superare il dolore dei popoli”.