Intervento di S.E.R. Mons. Rino Fisichella

2011-10-15 Convegno per i Nuovi Evangelizzatori

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Intervento di S.E.R. Mons. Rino Fisichella

Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione

                  Eminenze Reverendissime

                  Cari Confratelli nell’Episcopato

                  Voi tutti carissimi amici

 

                  Il Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione vi esprime un profondo senso di gratitudine per aver accolto questo invito ed essere presenti in maniera così numerosa. Per me personalmente, inoltre, è motivo di grande gioia rivolgervi il più sincero e caloroso saluto di benvenuto. Mi introduco a voi con le parole dell’apostolo che meglio manifestano lo stato d’animo del momento e creano lo scenario significativo su cui porre alcune considerazioni per la nostra comune riflessione: «Ringrazio il mio Dio ogni volta che mi ricordo di voi, pregando sempre con gioia per voi in ogni mia preghiera, a motivo della vostra cooperazione alla diffusione del vangelo dal primo giorno fino al presente, e sono persuaso che colui che ha iniziato in voi quest'opera buona, la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù» (Fil 1,3-6).

La nuova evangelizzazione è stata oggetto per ben 27 anni del magistero del beato Giovanni Paolo II; molti tra di voi hanno creduto a quell’annuncio e hanno messo la loro vita a servizio dell’evangelizzazione. Lo scorso anno Papa Benedetto XVI con intuizione realmente profetica ha scritto: «Facendomi carico della preoccupazione dei miei venerati Predecessori, ritengo opportuno offrire delle risposte adeguate perché la Chiesa intera, lasciandosi rigenerare dalla forza dello Spirito Santo, si presenti al mondo contemporaneo con uno slancio missionario in grado di promuovere una nuova evangelizzazione. Essa fa riferimento soprattutto alle Chiese di antica fondazione, che pure vivono realtà assai differenziate, a cui corrispondono bisogni diversi, che attendono impulsi di evangelizzazione diversi». È a partire da questa considerazione che il nostro Pontificio Consiglio ha iniziato a muovere i primi passi. Ci sono tre espressioni nel testo che meritano di essere richiamate perché indicano il percorso da seguire:

1. Dobbiamo offrire “risposte adeguate”. La crisi che il mondo vive è essenzialmente di carattere antropologico. Le conseguenze del secolarismo hanno provocato un’ingiustificata emarginazione di Dio e questa ha comportato un forte disorientamento dell’identità personale, per cui si diventa incapaci di giustificare se stessi e l’orientamento della propria esistenza. Neppure la Chiesa è esente da questa situazione perché verifica una profonda crisi di fede, prodotta da una notevole indifferenza, ignoranza dei contenuti basilari della dottrina, e un progressivo allontanamento dalla comunità cristiana facendo perdere il senso di appartenenza alla comunità.

2. È necessario un nuovo “slancio missionario”. Questo deve superare alcune difficoltà che nel corso dei decenni si sono verificate per un fraintendimento della missione della Chiesa e del compito ineliminabile proprio di ogni battezzato di essere annunciatore del Vangelo di salvezza. Molti, sbagliando, hanno pensato che l’annuncio esplicito non fosse più necessario e che la semplice testimonianza di vita fosse la nuova forma di evangelizzazione. Per sua stessa natura, invece, la testimonianza comporta l’annuncio esplicito del perché si sceglie di vivere alla sequela di Cristo. Inoltre, l’aver preferito sottolineare ciò che unisce non ha comportato il superamento delle difficoltà che ancora permangono nella divisione tra i cristiani e altre religioni.

3. Infine, afferma il Santo Padre, vi sono “realtà differenziate” che richiedono “impulsi di evangelizzazione diversi”. Questa considerazione tocca direttamente tutti noi qui presenti. Siete espressione di carismi diversi che agiscono con metodologie differenti; tutti, comunque, siete in prima persona operatori di nuova evangelizzazione. E’ importante per questo che non venga meno la complementarità delle espressioni purché questa si ritrovi nell’unità del progetto comune che la Chiesa intende perseguire con la nuova evangelizzazione e condivida con essa il fine da perseguire.

                  Come si può vedere, è necessario per tutti noi crescere nella consapevolezza dell’urgenza di un nuovo slancio missionario che sia sostenuto dalla nostra docilità all’azione dello Spirito, ma proprio per questo è determinante che ci facciamo carico anche di un pensiero profondo e di un’azione coerente per corrispondere pur in maniera differenziata alla sfida della nuova evangelizzazione. Il momento della preghiera, per questo, permane come il fondamento necessario sui cui costruire il pensiero e l’azione in modo che entrambi portino il frutto efficace della grazia.

 

                  La nuova evangelizzazione non è una novità introdotta con l’istituzione di un dicastero. Essa è già visibile nell’azione quotidiana di tante migliaia di persone. Ci sono diocesi, comunità parrocchiali, sacerdoti, ordini religiosi, nuove esperienze di vita consacrata, movimenti antichi e nuovi che da anni stanno vivendo con entusiasmo l’esperienza della nuova evangelizzazione e molti frutti del loro impegno sono visibili soprattutto nel mondo giovanile. La vostra presenza qui,oltre a rappresentare le diverse realtà ecclesiali – sono presenti infatti 33 Conferenze episcopali e 115 realtà ecclesiali – è segno di un grande dinamismo e mostra con evidenza che la fede provoca tanti cristiani, perché nella fedeltà alla verità del Vangelo e nell’obbedienza alla Parola viva della Chiesa la chiamata alla conversione sia anche oggi esperienza di salvezza. Per dirla con le parole del Santo Padre: «Oggi viviamo in un’epoca di nuova evangelizzazione. Vasti orizzonti si aprono all’annuncio del Vangelo, mentre regioni di antica tradizione cristiana sono chiamate a riscoprire la bellezza della fede. Protagonisti di questa missione sono uomini e donne che, come san Paolo, possono dire: “Per me vivere è Cristo”. Persone, famiglie, comunità che accettano di lavorare nella vigna del Signore, secondo l’immagine del Vangelo… (cfr. Mt 20,1-16). Operai umili e generosi, che non chiedono altra ricompensa se non quella di partecipare alla missione di Gesù e della sua Chiesa… Cari amici, il Vangelo ha trasformato il mondo, e ancora lo sta trasformando, come un fiume che irriga un immenso campo»[1]. La nuova evangelizzazione, insomma, dovrebbe essere questo fiume che irriga il mondo di oggi là dove le persone vivono e operano.

                  Voler ricorrere a una definizione esaustiva di nuova evangelizzazione rischia di far dimenticare la ricchezza e la complessità della sua natura; il pericolo di un impoverimento dell’azione evangelizzatrice, quindi, così come di un suo riduzionismo strumentale a una sola pratica non è aleatorio. Dobbiamo ripeterci senza troppa retorica che l’opera di evangelizzazione, pur nella difficoltà della sua definizione, non può essere fatta solo in modo decorativo, ma andando all’essenziale, partendo sempre dalla persona e dal suo desiderio di Dio. La nuova evangelizzazione, dunque, richiede la capacità di saper dare ragione della propria fede, mostrando Gesù Cristo il Figlio di Dio, unico salvatore dell’umanità. Nella misura in cui saremo capaci di questo, potremo offrire al nostro contemporaneo la risposta che attende. La nuova evangelizzazione riparte da qui: dalla convinzione che la grazia agisce e trasforma fino al punto da convertire il cuore, e dalla credibilità della nostra testimonianza. Guardare al futuro con la certezza della speranza è ciò che ci consente di non rimanere rinchiusi né in una sorta di romanticismo che guarda solo al passato, né di cedere all’utopia perché ammaliati da ipotesi che non possono avere riscontro. La fede impegna nell’oggi che viviamo, per questo non corrispondervi sarebbe ignoranza e paura; a noi cristiani, tuttavia, questo non è consentito. Rimanere rinchiusi nelle nostre chiese potrebbe darci qualche consolazione, ma renderebbe vana la Pentecoste. È tempo di spalancare le porte e ritornare ad annunciare la risurrezione di Cristo di cui siamo testimoni. Se qualcuno oggi vuole riconoscere i cristiani lo deve poter fare per il loro impegno nella fede non per le loro intenzioni. È importante, pertanto, che oltre ad approfondire il tema della nuova evangelizzazione si possano individuare alcuni luoghi, oggi particolarmente sensibili, per un’azione pastorale più innovativa.

 

                  Un primo ambito che tocca ognuno di noi è quello del risvegliare la consapevolezza di ogni battezzato a prendere sul serio il suo battesimo. Probabilmente, la prima e vera sfida della nuova evangelizzazione parte dalla cosiddetta “pastorale ordinaria” là dove i credenti vivono e si raccolgono in comunità. La Diocesi permane il luogo privilegiato perché primo evangelizzatore è sempre il vescovo, forte dell’unum presbyterium che vive della comunione. Nella pluralità delle iniziative che ogni Chiesa particolare sperimenta, si dovrà trovare la forma perché l’intera comunità riscopra il suo essere evangelizzatrice. Il passaggio dalla “missione al popolo” a il “popolo in missione” deve far comprendere il cambiamento di prospettiva che muove la nuova evangelizzazione. Non possiamo permanere in una situazione di passività, abbiamo bisogno di esprimere al meglio un progetto che consenta alla comunità parrocchiale di essere essa stessa missionaria in quanto comunità presente nel territorio. Casa tra le case, la parrocchia permane come la struttura fondamentale della pastorale ordinaria, dove la vita sacramentale e la formazione, la testimonianza della carità e la trasmissione della fede costituiscono un tutt’uno che deve essere sostenuto da una responsabilità condivisa e partecipata. Tuttavia, una parrocchia che si rinchiudesse nell’accogliere altre espressioni di vita ecclesiale verrebbe meno nella sua stessa natura di essere espressione privilegiata di accoglienza e sintesi organica per la vita della comunità e, comunque, si priverebbe di una forza evangelizzatrice in grado di incontrare le persone là dove lavorano, operano e agiscono al di fuori del territorio parrocchiale e che la parrocchia è impossibilitata di raggiungere.

                  Un legame del tutto peculiare relaziona la nuova evangelizzazione con la liturgia. Questa rappresenta l'azione principale mediante la quale la Chiesa esprime il suo essere nel mondo mediazione della rivelazione di Gesù Cristo. Fin dalle sue origini la vita della Chiesa è stata caratterizzata dall'azione liturgica. Quanto la comunità annunciava, lo rendeva poi presente nella preghiera liturgica, segno visibile ed efficace della salvezza. Questa non era più solo un annuncio fatto da uomini volonterosi, ma azione che lo Spirito realizzava per la presenza di Cristo stesso in mezzo alla comunità credente. Separare questi due momenti equivarrebbe a non comprendere la Chiesa. Essa vive dell'azione liturgica come linfa vitale per il suo annuncio e questo, una volta compiuto, ritorna alla liturgia come suo completamento efficace. La lex credendi e la lex orandi formano un tutt'uno dove diventa difficile perfino vedere l'inizio dell'uno e il termine dell'altro. La nuova evangelizzazione, quindi, dovrà essere capace di fare della liturgia il suo spazio vitale perché abbia pieno significato l'annuncio compiuto. La pluralità delle modalità e prospettive con cui la nuova evangelizzazione si realizza trova riscontro anche nella ricchezza della liturgia. La multiformità dell’azione liturgica, infatti, e la pluralità dei riti che la compongono mostrano con evidenza quanto la centralità e unicità del mistero possa poi esprimersi in forme differenti senza mai far venir meno nel suo legame con l’unica fede professata. Non dimentichiamo che viviamo in un mondo sempre più bisognoso di segni che introducano nel mistero. L’azione liturgica non allontana l’uomo da se stesso, al contrario, lo conduce sempre più a cogliere l’essenza della sua vita e a relazionarlo con un mistero più grande della sua personale enigmaticità.

In questo contesto, vorrei richiamare al valore fondamentale che la nuova evangelizzazione trova nel sacramento della riconciliazione. Non è per nulla tema estraneo; esso interviene a pieno diritto, perché qui si sperimenta l’amore e la verità sulla propria esistenza. È urgente che si rimetta almeno “in posizione”, se non proprio al centro, il sacramento della confessione e la direzione spirituale. Qui, infatti, è possibile ritrovare una confluenza di tematiche che sono di grande attualità nel cambiamento in atto. Penso, in primo luogo, alla perdita del senso del peccato, derivante in parte dalla perdita del senso di appartenenza alla comunità. Se non si ha una comunità di riferimento è estremamente difficile comprendere e giudicare il proprio stile di vita. Rinchiuso nel suo individualismo, il nostro contemporaneo non è più capace di confronto e cade nell’illusione che il suo stile di vita dipenda solo da lui, senza bisogno di responsabilità sociale. Il sacramento della confessione, impone di cogliere il valore della verità sulla propria vita, perché relaziona ad una comunità. La vita fatta d’idealità e contraddizioni ha bisogno del perdono come esperienza di amore e di misericordia; la confessione permette di cogliere l’uno e l’altro aspetto. Una società come la nostra che sembra aver dimenticato il perdono e suscita sempre più reazioni come violenza, rancore e vendetta ha bisogno di testimoni di perdono e di segni di misericordia. Se, tuttavia, non si compie esperienza diretta di essere stati amati, e per questo perdonati, diventa arduo pensare che si possano imprimere tali segni. La confessione è strumento efficace che trasforma l’uomo. Non si dimentichi, infine, la necessità di porre se stessi davanti alla verità della propria vita senza illusione alcuna. In un periodo in cui il senso di onnipotenza pervade non pochi, e si confonde il sogno con la realtà, pensando che tutto possa essere acquistato o sia esclusivo possesso individuale, ritornare a fare i conti con chi si è realmente non sarebbe un danno, ma un’urgente necessità.

                  Benedetto XVI nella Caritas in veritate ha detto che il “mondo soffre per la mancanza di pensiero” (n. 53). La nuova evangelizzazione non può pensare di essere esente dal riflettere su questa condizione. La mancanza di pensiero impoverisce la fede e la rende più debole perché incapace di poter raggiungere tutti.

L’ambito della cultura costituisce lo spazio vitale entro cui far percepire il valore del Vangelo e il suo linguaggio più appropriato per la trasformazione del mondo. Nessuno tra di noi cada nella trappola di ritenere che la nuova evangelizzazione necessita solo di nuove tecniche comunicative o di un semplice afflato esperienziale. L’uno e l’altro hanno bisogno di essere sostenuti da una ragione che sa comprendere il mondo circostante e sa entrare nella cultura con le sue diverse sfaccettature per coglierne i segni di una patologia visibile, ma la cui terapia spesso non è all’altezza, proprio per la debolezza dell’analisi. Noi abbiamo la forza del pensiero, sempre nuovo perché rinnovato da una fede che si fa compagna di una ragione mantenuta sempre viva nel suo desiderio di conoscere. Siamo contrari a una ragione rassegnata che si limita nella ricerca della verità e per questo a una cultura che produce solo effimero. Abbiamo un pensiero profondo che sa leggere la realtà in modo unitario e globale in grado di vedere insieme la bellezza e la bontà dell’uomo pur segnato dalla presenza del peccato. Abbiamo davanti a noi un’opportunità storica come poche volte si presentano nello scenario mondiale. Dobbiamo ritrovare la via maestra per riportare lo sguardo sull’essenziale; solo a partire da qui, infatti, sarà possibile un impegno vero, un pensiero maturo, coerente e credibile per il nostro contemporaneo. Quello della formazione è un “rischio” che merita di essere vissuto perché consente di essere propositivi in un momento di debolezza generalizzato.

                  In questo contesto merita porre il massimo dell’impegno nella promozione della famiglia e nella sua difesa davanti a diverse sottili forme che ne intaccano l’integrità. Essa costituisce la spazio naturale all’interno del quale avviene la trasmissione della fede e la comunicazione di quei valori fondamentali che caratterizzano la vita personale. Esiste una convinzione diffusa nella Chiesa sull’importanza della famiglia e della sua centralità nella vita sociale; eppure, è necessario uno sforzo ulteriore per far comprendere soprattutto alle nuove generazioni che la solidità della famiglia non può vivere di previe soluzioni di incertezza che minano alla base il vero sentimento dell’amore e non aiutano in una progettualità di condivisione comune.

                  Un capitolo importante è quello dell’impegno nella vita politica. È evidente che siamo dinanzi a una pluralità di tradizioni diverse a seconda delle culture in cui si agisce e, tuttavia, l’impegno dei cattolici nella vita politica non può essere eluso. Esso si espande in almeno due versanti. Il primo, è quello dell’impegno diretto nell’assunzione di responsabilità pubblica all’interno delle istituzioni; il secondo, è quello della partecipazione attiva come cittadini che sentono la responsabilità per il futuro della società. Il Santo Padre più volte ha insistito perché cresca una nuova classe dirigente nella vita politica. Essa potrà essere tanto più efficace e feconda quanto più sostenuta da una fede che comprende il grande peso della dottrina sociale della Chiesa e l’urgenza per una presenza sussidiaria nella società.

                  Un ulteriore ambito di riflessione è determinato dal fenomeno dell’immigrazione. L’Occidente vive oggi una situazione molto differente dal passato. In questo momento non intendiamo considerare le conseguenze nell’ordine sociale, ma l’impatto nei confronti della nuova evangelizzazione. L’immigrazione di questi decenni ha visto un movimento di milioni di cristiani. L’Europa, gli Stati Uniti, il Canada e l’Australia ben conoscono la presenza di immigrati dall’Est europeo, dal Medio Oriente, dall’America Latina e dalle Filippine; in maggioranza sono cattolici e cristiani. Tutti questi sono una ricchezza non solo a livello economico, ma per la nuova evangelizzazione. La società di oggi è spesso impietosa e tende a inghiottire in un vortice d’indifferenza i nuovi immigrati, impedendo loro di conservare la fede e le loro tradizioni. Non può essere così. Le nostre comunità dovrebbero essere aperte e accoglienti perché la loro tradizione può essere una ricchezza capace di provocare la nostra indifferenza. Certo, la pietà popolare che spesso è vissuta da loro richiede di partecipare una conoscenza più forte dei contenuti della fede. Eppure, la nuova evangelizzazione, vive anche di questo fecondo scambio di tradizioni che esprimono rispetto e complementarità. Un ulteriore aspetto da considerare, è costituito dalla presenza di masse migratorie appartenenti ad altre religioni. Queste esprimono il desiderio dell’uomo di relazionarsi all’Assoluto e presentano strade che manifestano antiche tradizioni di saggezza. La serietà e rettitudine di cuore con cui ricercano Dio è una strada che può condurre all’incontro con Gesù Cristo e spesso questo avviene. Queste religioni possono essere una “preparazione evangelica” (LG 16). La nuova evangelizzazione, come l’evangelizzazione in genere, non può esimersi dall’annuncio esplicito di Gesù Cristo verso tutti per non impedire ad alcuno di poter venire in contatto con la parola che salva. Nel rispetto dovuto a tutti e nella prudenza delle situazioni, i nuovi evangelizzatori non possono esimersi dall’incontrare anche quanti non condividono la fede cristiana. Se l’annuncio a volte non sarà recepito ciò non significa che non si possano trovare condivisione di valori per la promozione della vita, della sua dignità e della salvaguardia del creato. Una seria riflessione, comunque, dovrebbe condurre a comprendere quanto l’impegno di tante strutture della Chiesa in questi ambiti non si possano fermare a una distribuzione di servizi, importanti e vitali, ma dovrebbero essere sostenuti anche da uno slancio missionario di evangelizzazione nei tempi corretti e nel rispetto che mai può venire meno.

                  Un ulteriore ambito è fornito dal complesso mondo della comunicazione. Nella lettera Apostolica di fondazione del Pontificio Consiglio viene esplicitamente affidato dal Papa il compito di: “Studiare e favorire l'utilizzo delle moderne forme di comunicazione, come strumenti per la nuova evangelizzazione”. Uno sguardo a quanto accade in questo momento evidenzia che gli strumenti di comunicazione non sono più solo meri strumenti, ma autentica espressione culturale. La nuova evangelizzazione si compie anche all’interno di questa nuova “mediapolis”. Diverse voci, tra sociologi e psicologi, si fanno sentire per mettere in guardia dai pericoli sottesi a questo nuovo “piccolo grande mondo” di internet che avanza e che presenta tratti problematici soprattutto per l’influsso sui comportamenti personali e di massa. Il mondo della comunicazione, comunque, non può essere considerato solo in maniera funzionale; sarebbe un abbaglio pericoloso. Non solo porterebbe lontano da questo mondo, ma soprattutto impedirebbe di comprenderlo nella sua reale natura e nelle diverse forme di cui si compone. Pensare al mondo della comunicazione in termini di pura tecnologia è riduttivo e non aiuta a vedere il vero volto della cultura che racchiude in se stesso. Si è dinanzi, infatti, a un universo di pensiero e di tecnologie con forti potenzialità; al momento, forse, solo parzialmente conosciute e utilizzate. Nel bene e nel male, da qualsiasi parte si guardi a questo mondo, esso appare sempre più come un moderno areopago da cui il cristiano non può rimanere estraneo. Il linguaggio che si sta venendo a formare tramite le nuove forme della comunicazione, pertanto, merita di essere conosciuto, studiato e, per quanto è possibile utilizzato, senza tradire il messaggio di cui siamo portatori, in vista di una chiara ed efficace comprensione del nostro annuncio. Per alcuni versi, insomma, è necessario confrontarsi con questo nuovo mondo perché determina ormai la nostra cultura insieme ai linguaggi e ai comportamenti che ne derivano. Tutto questo, ovviamente, non esonera dal primato dell’incontro interpersonale, vera sfida che impegna ogni nuovo evangelizzatore per incontrare ognuno in una comunicazione della propria esperienza di vita fatta di credibilità e sincera partecipazione.

 

                  Abbiamo scelto come orizzonte del nostro incontro l’espressione degli Atti degli Apostoli: «La Parola di Dio cresce e si diffonde» (cfr. At 12,24). Per alcuni versi, essa indica lo scopo di questi giorni e segna, per l’appunto, l’orizzonte di senso su cui desideriamo riflettere. L’evangelista Luca utilizza una forma plastica che ben permette di verificare l’opera dell’evangelizzazione: il primato della Parola di Dio che attraverso l’azione della comunità si diffonde per ogni terra e consente alla Chiesa di crescere. Mentre cresce la Parola di Dio, cresce la Chiesa. Non dimentichiamo, comunque, che sempre l’apostolo scrive: «La Parola di Dio corre» (2Ts 3,1); ciò comporta che anche noi dobbiamo tenere lo stesso passo, senza stancarci. Le parole di sant’Agostino possono aiutarci a ritrovare anche una metodologia per il nostro impegno missionario; commentando il brano di quei giudei che scoperchiarono il tetto della casa per far entrare il paralitico da Gesù, egli afferma: «Anche tu devi comportarti come se volessi fare la stessa cosa nel mondo interiore dell’uomo: scoperchiare il suo tetto e deporre davanti al Signore l'anima stessa paralitica, fiaccata in tutte le membra ed incapace di fare opere buone, oppressa dai suoi peccati e sofferente per la malattia della sua cupidigia. Il medico c’è, è nascosto e sta dentro il cuore. Questo è il vero senso occulto della Scrittura da spiegare. Se dunque ti trovi davanti a un malato rattrappito nelle membra e colpito da paralisi interiore, per farlo giungere al medico, apri il tetto e fa’ calar giù il paralitico, cioè fallo entrare in se stesso e svelagli ciò che sta nascosto nelle pieghe del suo cuore. Mostragli il suo male e il medico che deve curarlo» (Disc. 46,13).

                  A conclusione di queste brevi riflessioni lasciatemi ricorrere, ancora una volta, a un’immagine della sacra Scrittura, così come viene espressa dal profeta Zaccaria. Dinanzi all’annuncio dell’era messianica, egli si esprimeva con queste parole: «Dice il Signore degli eserciti: “In quei giorni, dieci uomini di tutte le lingue delle genti afferreranno un Giudeo per il lembo del mantello e gli diranno: Vogliamo venire con voi, perché abbiamo compreso che Dio è con voi”» (Zac 8,23). Non è un’illusione poter pensare che la stessa scena si verifichi con i nuovi evangelizzatori: persone del mondo intero vorranno afferrare un discepolo di Cristo e dire: «vogliamo venire con voi perché abbiamo compreso che Dio è con voi»! Quale esperienza più significativa per la nuova evangelizzazione di essere talmente credibili nella nostra testimonianza da far percepire la compagnia di Dio.

                  Per quanto riguarda, infine, l’impegno del Pontificio Consiglio, vorremmo solo darvi certezza della nostra piena disponibilità per usare le parole di Paolo: «essere d’aiuto a voi tutti, per il progresso e la gioia della vostra fede» (Fil 1,25), nel servizio alla nuova evangelizzazione. Il nostro vuole essere un servizio che a nome del Santo Padre rivolgiamo in primo luogo ai Vescovi e alle Conferenze Episcopali, come al grande mondo dei movimenti, delle associazioni e della vita consacrata. Il servizio che a partire dal prossimo Sinodo sarà sempre più progettuale e articolato necessita anche del vostro prezioso aiuto e sostegno che, ne siamo certi, non verrà mai meno per dare alla nuova evangelizzazione la dinamica e l’efficacia creativa per annunciare in modo sempre nuovo e credibile Gesù Cristo Figlio di Dio e nostro Salvatore.

[1]Benedetto XVI, Angelus di domenica 18 settembre 2011